Incontro Sabrina, l’educatrice di Binario 95, in un frammento tra il suo tempo e il mio dopo una settimana di tentativi a rincorrerci. Sapevo, conoscendo Sabrina da anni, che il racconto sarebbe stato denso e inaspettato, svelando una nuova “creatura”, che si preannunciava già dalle prime battute dai mille risvolti, educativi, esperienziali e creativi tra tutti: ecco quindi il racconto di un laboratorio pensato per stare insieme,  ma divenuto forzatamente a distanza, in cui alcuni ospiti del Centro polifunzionale Binario 95 e due classi delle medie dell’Istituto Alfieri Lante della Rovere di Roma si sono messi all’opera sul tema “sentirsi a casa”, ai tempi del Covid-19.

Tutti ossimori al primo sguardo, mondi e vissuti lontani: persone senza dimora, il sentirsi a casa, ragazzi delle medie, tutti nello stesso progetto sociale e educativo, ecco la sfida!

Sabrina, a cui va riconosciuta la grande dote di creare prodotti artistici da beni di scarto, infondendo nuova vita a oggetti, persone e ingredienti spaiati, smarriti, ad un passo dall’essere dismessi e dimenticati in un angolo, mi rivela quindi la sua idea. Di quelle idee che nascono quando sei alle strette, quando ti tocca tirare fuori una marcia in più o mollare del tutto, quando con lo sguardo di chi cerca in ogni direzione prende a maglie larghe quello che viene per poi decidere in corso d’opera cosa farsene, spesso valutando proprio di tenere tutto solo cambiandogli di posto. Ecco che i mondi lontani in ossimoro tra loro trovano pian piano un filo rosso inesplorato. Non rinunciando alla sfida o insistendo a non buttare tutto, l’educatrice decide di proporre alle insegnanti di arte e religione della scuola Alfieri di mettere alla prova i ragazzi, partendo dalla premessa che per comprendere le esperienze di vita delle persone senza dimora, vero punto di partenza educativo del laboratorio, i loro allievi dovessero imparare ad usare quello che trovavano in casa. I ragazzi, quindi, sono stati messi davanti alla grande sfida dell’arrangiarsi con quello che avevano, con quello che c’era nel qui e ora, così come fin troppo spesso fanno gli homeless nelle loro giornate arrangiate, inventate, “resilientemente creative”. La prima vera lezione di questa pandemia, invece, per tutti noi altri.

Lo sguardo di Sabrina da concreto e concentrato si illumina, si fa sognante e si apre nel nominare la tecnica che avrebbe usato: un collage da realizzarsi tramite l’uso di tutorial preparati da lei stessa e da inviare agli studenti per comporli a casa, mentre parallelamente, in presenza, si sarebbe tenuto il laboratorio per gli ospiti del Binario 95, con la stessa tecnica e le stesse indicazioni. Già in passato, presso il centro di accoglienza, sono stati sperimentati laboratori creativi sul collage, ad opera dell’artista Giovanna Ranaldi.

Vecchi calendari, libri illustrati, volantini, bags di carta, cartoline, carta da pacchi, incarti del pane e tutte le immagini rinvenibili su qualsiasi supporto perdendo l’uso originario e reinventandosi negli incontri inediti di significati e accostamenti emergenti tra loro o con parole o frasi aggiunte accanto sembravano prendere vita nelle foto che mi mostrava Sabrina e ancor di più nel suo racconto di un’invenzione inaspettata. Inaspettata come molto di quello che accade durante una crisi che diventa evolutiva, che diventa genesi di nuovi apprendimenti.

Mi mostra con grande orgoglio i prodotti dei suoi “allievi”, indistintamente giovani e anziani, poveri o in famiglia, soli nella propria stanzetta o in molti, in una nuova famiglia ritrovata. Mix and match realizzati armonicamente e con estrema cura, svelando nuovi racconti grazie ad immagini che fino a poco tempo prima non raccontavano storie nobili o ne raccontavano di molto diverse, come un volantino pubblicitario ad esempio, o una foto di un articolo di cronaca. Di diverse come, mi verrebbe da dire, le nostre vite prima del Coronavirus, come le vite dei nostri ospiti prima di qualche tragico evento, prima di divenire spaiati, smarriti, ad un passo dall’essere dismessi e dimenticati in un angolo, proprio come certi oggetti di scarto che reinventa Sabrina.

Un tema che poteva essere potenzialmente attivante, doloroso, quindi, sentirsi a casa per un adolescente che vi è costretto da una pandemia mondiale o per una persona senza dimora che vi è costretto a rinunciarvi dalla vita, dagli eventi, dai traumi, dagli allontanamenti più o meno voluti. Un tema che si è mostrato per tutta la sua potenziale capacità trasformativa e catartica, grazie all’uso creativo delle emozioni e al potere evocativo delle immagini e delle parole ineditamente accostate e, quindi, riscoperte.

Strano trovare nei prodotti artistici nati temi di protezione di sè, di attenzione e tutela all’ambiente, di presenza in un mondo amato e pulito, di desiderio di immaginarsi dove si sta bene e dove si vorrebbe stare. Strano, ma non troppo, se a guidare questi giovani e non giovani artisti è stata l’indicazione a fare un uso emotivo della selezione degli stimoli, della volontà di fare una scelta, della libertà di dare vita anche solo su una tavola di un collage ad una realtà diversa, nata da accostamenti surreali e impensabili. Ecco che il contenitore, un laboratorio per studenti e homeless diviene simile al contenuto, ovvero un collage impensato e inaspettato ma che ha funzionato come una missione quasi impossibile.

AUTORE 

 

 

Alessia Capasso

Operatrice e psicoterapeuta Binario 95

Un numero di Shaker, Pensieri senza dimora, il giornale realizzato all’interno dei laboratori di Binario 95, racconta questo incontra attraverso le parole di operatori, studenti ed insegnanti.

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Per le fotografie utilizzate all’interno del sito si ringraziano: Massimo Bracaglia, Marco Cavallo, Antonella De Chellis, Sara Gargiulo, Giorgio Pagliarulo, Simona Pesce,
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