Era già l’ora che volge il disìo
ai navicanti e ‘ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio

(Dante, VIII Canto del Purgatorio)

L’emergenza Covid-19 ci ha travolti, storditi e catapultati in una dimensione sospesa, imponendoci un contatto quotidiano e doloroso con la morte, la paura del contagio e la nostalgia per l’incontro. La comunità, compatta di fronte alla paura e forte di responsabilità, ha imparato a rispettare il distanziamento sociale per proteggersi, laddove avvicinarsi all’altro implica il rischio di contagiarlo o di esserne contagiati. In breve tempo la straordinarietà della situazione ha imposto il rodaggio di nuovi modi di stare in relazione con l’altro, distanziandolo. 

Il lavoro con le persone senza dimora è prima di tutto un lavoro di prossimità e Binario 95 ha dovuto rimodulare le quotidiane strategie messe in campo per accogliere, nel rispetto della distanza e senza perdere la vicinanza affettiva, faticosamente conquistata. Mi piace pensare a Binario 95 come a una “palestra relazionale” entro cui chi accede prova ad allenare quelle competenze relazionali sopite nel tempo, nel tentativo di anestetizzare il dolore di una vita dura, costruita a fatica e con pochi strumenti, sulle fondamenta di relazioni interrotte e infanzie difficili. Il Covid-19 è impercettibile eppure si manifesta con tutta la sua potenza, rendendoci vulnerabili; impone la distanza e lo stare a casa, concetti paradossali se osservati con la lente delle persone senza dimora. Eppure la pandemia, come i momenti di crisi, può essere generativa, così come la ricerca del nuovo delicato equilibrio di “con-tatto”, nel rispetto delle regole, per evitare il riverbero di esperienze di distanziamento, troppe volte subite nella vita per strada. La convivenza forzata nel centro di accoglienza, associata alla drastica riduzione degli spostamenti e del girovagare per la città, ha permesso agli ospiti di Binario 95 di concedersi un nuovo incontro, non sempre piacevole, con sé e con l’altro. 

Binario 95 rappresenta da sempre per le persone che si aggirano nei pressi della Stazione Termini, la casa di chi non ha casa; nel frequentarlo quotidianamente gli ospiti ricominciano a prendersi cura di sé, dell’igiene del corpo, in un percorso tortuoso, caratterizzato dal raggiungimento di piccoli obiettivi quotidiani che per alcuni, pochi a dire il vero, si trasforma in effettiva conquista dell’autonomia alloggiativa. Al tempo del Covid 19 il tempo sembra procedere con ritmi alterati, le persone vivono e si adeguano alla sospensione in modi diversi, alcuni, in un tempo sociale rallentato, sembrano aver ripreso la propria corsa, a riprova che il tempo del prendersi cura e quello dell’accoglienza, che spesso non corrispondono, nonostante tutto, possono intersecarsi. Molti servizi territoriali, sanitari, sociali, legali e di previdenza hanno ridotto al limite le proprie attività, questo ha comportato brusche frenate per gli ospiti che, con fatica, perseguivano il proprio progetto.

L’idea di non avere certezze, non poter programmare la data per una visita, di sospendere la ricerca lavoro è destabilizzante per le persone che, nel tempo, avevano ricostruito un ponte tra il dentro e il fuori. Marco, nome di fantasia, era in attesa di ricevere il verdetto sulla richiesta di pensionamento anticipato e poter raggiungere così la moglie in un paese del Sud-America. Il suo appuntamento è stato annullato a causa della pandemia e di colpo le ore sono diventate blocchi di cemento, come quelli usati da giovane, quando, per mestiere, costruiva case. Coloro i quali faticano a ricostruire i nessi, a prendere contatto con sé e con gli altri, in questa fase, paradossalmente, appaiono a loro agio, non contagiabili da una società che continua a non avvicinarli e con la quale hanno sospeso i contatti. Roberto sembra aver rinunciato al goffo tentativo di continuare a rendersi invisibile all’interno del Centro. Fino a qualche settimana fa vi accedeva con l’unico scopo di riposare, seduto su una sedia, ricurvo su se stesso e con il volto coperto. All’inizio della pandemia, girovagando di notte per la città ha subito un’aggressione. Nel commentare tale episodio ha affermato questo virus ci rende emarginati nell’emarginazione”; l’indomani dopo aver declinato, per anni, l’invito a fermarsi a pranzo o semplicemente a fare una chiacchierata, ha deciso di presentarsi agli altri ospiti, pranzare con loro e farsi medicare la fronte, marchiata della disperazione del disperato che ha tentato di derubarlo.

Il Covid-19 lascerà la sua eco e al momento è difficile prevederne l’impatto. Ogni ospite ha reagito con i propri strumenti, affidandosi alla nostra equipe di professionisti, accettando di “stare”, di contattare emozioni e sentimenti contrastanti, di condividere paure e disagi per le abitudini interrotte, attivando risorse inaspettate.

Tra le principali novità nate con il Covid-19 c’è stata la condivisione di un nuovo bisogno, quello di riunirsi in gruppo, nella parte esterna del centro, con le sedie collocate a un metro di distanza l’una dall’altra. Seduti in cerchio, in uno spazio occupato fino a prima del Covid-19 per fumare o giocare a carte, è stato possibile incontrarsi, alla nuova distanza imposta dal virus che è sembrata essere la giusta vicinanza ritrovata, dove l’incertezza del domani, il tempo sospeso e la necessità di ponderare nuove vicinanze coinvolgono tutti.

Il Covid-19 con tutto quello che ha comportato, il numero ridotto dei presenti all’interno del Centro, la convivenza forzata e quotidiana, la ricerca di un nemico esterno contro cui allearsi per combattere la paura e verso il quale indirizzare la rabbia, sembrano aver apportato anche trasformazioni positive tra gli ospiti, i quali, da piccole isole distanti e non comunicanti sembrano aver sperimentato, almeno in questa fase, la meraviglia di far parte di un arcipelago. 

È inevitabile un sospiro quando il pensiero volge alle tante persone ancora per strada, affaticate dalla ricerca di beni essenziali e senza un posto sicuro, nella solitudine e nell’assenza della Città Eterna.

AUTricE 

 

 

Fabiana Alberti
Operatrice Binario 95, Psicologa e Psicoterapeuta

BINARIO 95

Via Marsala, 95

00185 Roma

 

Un progetto della cooperativa sociale Europe Consulting Onlus

 

Telefono

06.44360793

Partners

Roma Capitale – Dipartimento delle Politiche Sociali, Sussidiarietà e Salute

Ferrovie dello Stato Italiane

Regione Lazio

 

Sono 213 i bozzetti protagonisti dell’iniziativa «Dona un’opera» che l’Associazione Italiana Scenografi Costumisti e Arredatori sta dedicando a Binario 95, il progetto di Europe Consulting Onlus che si occupa dell’assistenza di persone senza fissa dimora

 

Il bozzetto con i profili delicati degli abiti firmati dal premio Oscar Gabriella Pescucci per il film «L’età dell’Innocenza», girato nel 1993 da Martin Scorsese. Stessa mano per i disegni che restituiscono le atmosfere eccentriche de «La fabbrica del cioccolato» di Tim Burton, e l’eleganza di «Indocina» (Wargnier, 1992). La magia si ripete con il lavoro preparatorio di un’altra costumista premio Oscar, Milena Canonero, realizzato per il set di «The Grand Budapest Hotel» di Wim Wenders/ difficile dimenticare la superba cappa bordata di pelliccia che avvolge un’altera Tilda Swinton. Il mondo della cultura e dello spettacolo, tra i più colpiti dall’emergenza coronavirus, nonostante tutto decide di mettere a disposizione i propri talenti per offrire un aiuto concreto a chi ha bisogno di un aiuto concreto. Sono 213 i bozzetti protagonisti dell’iniziativa «Dona un’opera» che l’Associazione Italiana Scenografi Costumisti e Arredatori (ASC) in questi giorni sta dedicando a Binario 95, il progetto di Europe Consulting Onlus che si occupa dell’assistenza di persone senza fissa dimora.

Una grande vendita online di opere realizzate dai soci dell’associazione e da altri artisti, per film, opere teatrali e televisive, che mette insieme un gruppo straordinario di professionalità, tra cui eccellenze come il pluripremiato dall’Academy Award Dante Ferretti, nella collezione charity con un bozzetto realizzato nel 1983 per il film «E la nave va» di Federico Fellini. Gli appassionati di cinema hanno l’occasione di conquistare una porzione simbolica della nostra migliore creatività con un’offerta sul sito www.aesseci.org, dopo aver sfogliato il catalogo dei lavori. Il 3 maggio 2020, l’assegnazione al miglior offerente. «Non vorremmo che la vendita delle nostre opere sia considerata come un’asta, quanto piuttosto come una gara di solidarietà, volta a raggiungere la cifra più alta possibile» dice Carlo Poggioli, presidente di ASC. Tra gli autori coinvolti, Paki Meduri, con un frammento della scenografia del film «Suburra», Ursula Patzak per il costume di «Andrea Chenier» (regia teatrale di Mario Martone), e Graziella Pera che ha vestito Renzo Arbore nella trasmissione tv di culto «Indietro Tutta».